Milano, è scontro tra Google e Procura

La magistratura milanese si interroga sulla legalità  delle policy di Google in merito al trattamento dei dati degli utenti: la società  ha fatto sapere di subordinare alla propria discrezionalità  la comunicazione di informazioni sul traffico telematico, anche nel caso in cui si verifichino specifiche condizioni di emergenza.

Autore: Irene Canziani


Le questioni giudiziarie di Google si declinano in modo differente a seconda del paese considerato. L'ondata di polemiche sulla privacy degli utenti è arrivata anche in Italia: nel nostro paese, tuttavia, la disputa non si concentra sul tanto contestato servizio Street View, quanto piuttosto sulle generali linee guida legali in merito al trattamento dei dati degli internauti. E, diversamente dalle altre nazioni, qui Google non è accusata di violazione della privacy, quanto semmai di “troppa riservatezza”.
La scorsa primavera, la Procura di Milano aveva chiesto alla società  di Mountain View di chiarire le proprie “procedures and policy” in merito ai dati degli utenti. La questione è semplice: nel caso in cui un'indagine in corso riguardi degli account della compagnia, essa è disposta a collaborare con la giustizia fornendo informazioni sul traffico telematico e sull'identità  dei propri clienti?
La questione era stata sollevata in particolare riguardo all'episodio di bullismo nei confronti di un ragazzo down, filmato e caricato sul sito Google Video: in quel caso, la società  si era rifiutata di fornire i dati relativi all'account responsabile della pubblicazione online del video.
La risposta di Google in merito alla questione è stata netta: l'azienda “si assume la responsabilità  di subordinare alla propria discrezione la comunicazione dei dati richiesti dall'autorità  giudiziaria”, e questo persino “in presenza di specifiche circostanze di emergenza che implicano un imminente pericolo di morte o di gravi lesioni fisiche”.
Il procuratore aggiunto della Repubblica di Milano, Corrado Carnevali, non ci sta: in una lettera inviata a tutti i Pm della procura, egli denuncia il comportamento della società  come “non conforme al diritto italiano sotto più profili”.
In questione anche il fatto che gli account Gmail vengano conservati solo per 30 giorni (contro i 12 mesi previsti dalla normativa italiana ed europea) e che Google rifiuti di comunicare l'Ip associato al sottoscrittore ove esso non sia relativo a un Paese dell'Unione Europea. Il che equivale a dire che se un cittadino italiano si avvale a fini criminali di utenze registrate in Stati non europei, egli potrebbe sfuggire agli accertamenti informatici e forse restare impunito.
Pare evidente come questa vicenda metta in gioco questioni molto ampie, tra cui i concetti di cittadinanza e di legalità  in una società  che è sempre in mutamento e ogni giorno più legata alle nuove tecnologie. La giustizia al tempo di internet deve forse modificare i propri meccanismi?

Visualizza la versione completa sul sito

Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, acconsenti all’uso dei cookie.