Bimbo muore, padre accusa su Facebook il medico curante

Dopo la morte del figlioletto, Mario Alinovi, esasperato dalla lungaggine giuridica ha pubblicato su Facebook la foto del medico che, secondo lui, ha ucciso il suo bambino.

Autore: Redazione IT Tech & Social

Paolo Alinovi, un neonato di 3 mesi il 29 luglio 2009 muore in circostanze non ancora chiarite presso l'Ospedale Santo Spirito di Pescara in seguito a un'operazione di megacolon.
Nonostante questa operazione sia considerata dai medici come un intervento di routine, il piccolo non ce l'ha fatta e dopo alcune ore dall'intervento il suo cuoricino ha smesso di battere.
La Procura di Pescara in seguito all'accaduto ha aperto un'inchiesta per capire se si tratta o meno di un caso di malasanità , ma a distanza di quasi due anni i genitori del piccolo Paolo ancora non hanno ricevuto le risposte di cui hanno bisogno e si attendono ancora gli eventuali rinvii a giudizio per gli indagati.
Ma i coniugi Alinovi, da quel giorno non trovano pace e giovedì scorso Mario Alinovi, padre del bimbo ha deciso di condividere sul profilo Facebook dell'associazione fondata insieme alla moglie, la foto del medico che quella sciagurata notte ha preso in carico il suo bambino, a suo avviso, uccidendolo.
Come commento alla foto postata l'uomo ha scritto "Se li conosci li eviti…il medico della morte", le reazioni del popolo della rete non si sono fatte attendere e gli insulti nei confronti del medico sono stati tanti.
"Ci sono tre perizie che spiegano che questo medico, la notte in cui mio figlio era ricoverato in ospedale, seppur avvisato, ha aspettato un'ora per intervenire e poi ha somministrato un farmaco che ha solo peggiorato la situazione- dichiara Mario Alinovi- per lui e anche per gli altri indagati è stata chiesta la sospensione dal servizio, invece sono ancora lì a lavorare con i bambini". 
Per i medici Mario Alinovi ha trasformato il fatto in una "gogna mediatica". Costantino Troise, segretario generale dell'Anaao-Assomed, il sindacato dei medici, ha dichiarato: "Capisco il dolore, ma bisogna saper attendere l'esito del giudizio penale. Non possiamo arrivare a questi estremi".

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