Facebook, gli insulti in bacheca sono diffamazione aggravata

La Cassazione ha dichiarato che le frasi offensive postate su Facebook rappresentano diffamazione aggravata, paragonabile a quella a mezzo stampa.

Autore: redazione social media

La Cassazione ha stabilito che offendere su Facebook è diffamazione aggravata, paragonabile a quella a mezzo stampa.
Nello specifico, la suprema corte si è occupata della vicenda di un'invettiva social ai danni dell'attuale presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, all'epoca dei fatti (2010), commissario straordinario.
Chi ha riempito la sua bacheca di parole diffamatorie come "verme" e "parassita" dovrà pagare una multa di 1.500 Euro, con rito abbreviato.
La condanna è stata emessa nei confronti di un componente in congedo del corpo militare della Croce Rossa, autore delle offese all'epoca dello scambio avviato sul social.
La Cassazione ha sottolineato come "la condotta di postare un commento" costituisca "la pubblicazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica".
Oggetto dello scontro verbale le scelte e iniziative adottate da Rocca mentre era alla guida dell'ente. Il dibattito era poi degenerato e sono state scritte pesanti offese personali denunciate dal diretto interessato, che per provare tutto aveva allegato alla querela la stampa della pagine Facebook. 
La Cassazione ha riconosciuto come frasi come "parassita del sistema clientelare" o "quando i cialtroni diventano parassiti", che l'istruttoria compiuta nella fase di merito ha attribuito all'imputato, siano "oggettivamente lesive della reputazione, trasmodando in una gratuita e immotivata aggressione delle qualità personali di Rocca".

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