Sono passati alcuni giorni dalla pubblicazione dell'articolo del
Wall Street Journal che
accusava Facebook di non vigilare abbastanza sulla tutela della privacy dei suoi 500 milioni di iscritti.
Il polverone di critiche alzato da questa inchiesta ha spinto il social network a rivedere per l'ennesima volta la sua politica in termini di
tutela della privacy e a controllare in maniera più efficace le applicazioni disponibili sulle sue pagine. Già perchà© l'inchiesta del quotidiano americano aveva come soggetto principale proprio le
applicazioni di Facebook, cioè quella miriade di
social games che hanno contribuito a costruire il successo planetario del social network.
Secondo il Wall Street journal applicazioni come
FarmVille,
Texas HoldEm Poker e
FrontierVille avrebbero passato dati privati degli utenti, e in alcuni casi anche quelli appartenenti alla loro rete di amicizie, a decine di società pubblicitarie e di
Internet Tracking, aziende cioè che svolgono approfonditi monitoraggi di traffico web. Circa
25 aziende sarebbero venute in possesso di questi dati.
In seguito a queste polemiche anche il
Congresso degli Stati Uniti ha voluto vederci chiaro e ha chiesto delle spiegazioni
Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook. Due rappresentati del supremo organo statunitense hanno inviato una missiva dove senza giri di parole si invita il social network a porre rimedio alla situazione: "questi abusi alla privacy del consumatore sono preoccupanti". Inoltre i due rappresentanti vogliono essere informati a proposito di "quali cambiamenti il sito deciderà di attuare per rafforzare la privacy".
Facebook ha annunciato che porrà al più presto rimedio a questa spiacevole situazione. Il social network però ha tenuto a precisare che
gli sviluppatori delle applicazioni sotto accusa non hanno intenzionalmente passato questo genere di informazioni.
A sostegno di questa tesi e in aiuto al social network sono arrivate le dichiarazioni di due aziende coinvolte nella vicenda.
Lolapps ha ammesso che c'è stata violazione dello statuto di Facebook, ma che al più presto la situazione sarà risolta.
Rapleaf, società di marketing accusata di aver creato una sorta di gigantesco database di utenti del social network, poi venduto a società di marketing, ha ammesso che questo tipo di trasmissioni di dati non faceva parte, in nessun modo, di "un piano aziendale concordato".