àˆ vero che nel linguaggio comune il più delle volte per
hacker si intende un pirata informatico, uno che entra in un computer e fa danni. In realtà non è così, quello di hacker è un concetto errato che si è fossilizzato grazie a messaggi stravolti passati attraverso i mezzi di informazione che hanno banalizzato la differenza sostanziale che intercorre tra hacker e cracker.
Il termine hacker in italiano si può rendere con un amichevole "
smanettone" e designa una persona impegnata nell'affrontare e risolvere creativamente e in modo positivo tutte le sfide che gli si parano davanti, siano esse informatiche, ingegneristiche o semplicemente della vita quotidiana.
Una persona costruttiva quindi come la sua attività nell'ambito dell'etere virtuale. Il
cracker, invece dal punto di vista della fama non se la passa poi molto bene: dall'inglese "
to crack", rompere, spezzare, il termine indica una persona che si ingegna per aggirare sistemi di sicurezza e blocchi informatici al fine di fare danno o trarne indebito guadagno.

Fatta questa premessa, a chi dei due vorrebbe essere paragonato Dio? Ad un hacker secondo quanto dice il padre gesuita
Antonio Spadaro in una riflessione apparsa recentemente su
Civiltà Cattolica, l'autorevole quindicinale della Compagnia di Gesù.
"Senza paragonare indebitamente comunità hacker e comunità cristiana – dice padre Spadaro - i cristiani e gli hacker oggi, in un mondo votato alla logica del profitto, hanno comunque molto da darsi, come dimostra del resto anche l'esperienza degli hacker che fanno della loro fede un impulso del loro lavoro creativo".
"Gli hackers costruiscono le cose, i crackers le rompono (
hackers build things, crackers break them)", come cita una delle citazioni riportate nell'articolo della "Civiltà Cattolica". Secondo i Gesuiti quindi un hacker va interpretato come colui che "si impegna ad affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte nei propri ambiti d'interesse".
"Quella hacker è, insomma, una sorta di 'filosofià di vita, di atteggiamento esistenziale, giocoso e impegnato, che spinge alla creatività e alla condivisione, opponendosi ai modelli di controllo, competizione e proprietà privata. Intuiamo dunque come parlando in modo proprio degli hacker - aggiunge il gesuita - siamo di fronte non a problemi di ordine penale, ma a una visione del lavoro umano, della conoscenza e della vita. Essa pone interrogativi e sfide quanto mai attuali".

Dall'articolo si evince che non è difficile riconoscere i fondamenti di una "
vita beata" nel punto di vista che un hacker ha della vita, l'intuizione che l'essere umano è chiamato a "un'altra vita, a una realizzazione piena e compiuta della propria umanità ".
Scrive sempre padre Spadaro: "Ovviamente l'hacker non è l'uomo dell'ozio e del dolce far niente. Al contrario è molto attivo, persegue le proprie passioni e vive di uno sforzo creativo e di una conoscenza che non ha mai fine. Tuttavia sa che la sua umanità non si realizza in un tempo organizzato rigidamente, ma nel ritmo flessibile di una creatività che deve diventare la misura di un lavoro veramente umano, quello che meglio corrisponde alla natura dell'uomo.
Tom Pittman più volte si è espresso sull'illogicità dell'ateismo e si è professato cristiano, ma anche altre esperienze dimostrano che tra fede ed etica hacker si possono creare sintonie".
"Ad esempio il linguaggio di programmazione
Perl, creato nel 1987 dall'hacker
Larry Wall cristiano evangelico" prosegue il gesuita "è sì l'acronimo di Practical Extraction and Report Language ma in origine si chiamava Pearl e deve il suo nome alla 'perla di gran valorè trovata la quale un mercante vende tutto pur di comprarla, come racconta il
Vangelo di Matteo". E conclude: "Una tale etica hacker può acquistare persino risonanze profetiche per il mondo d'oggi votato alla logica del profitto, per ricordare che il cuore umano anela a un mondo in cui regni l'amore, dove i doni siano condivisi".
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