Più passa il tempo, più appare chiaro come la società attuale subisca l'influenza del mondo virtuale di
internet: sono i fatti a dimostrarlo, segnali delle ripercussioni che le
nuove tecnologie e le
nuove modalità comunicative hanno sulla vita quotidiana. L'attenzione mediatica è stata attirata da una
vicenda giudiziaria avvenuta negli
Stati Uniti: più che per i fatti in sà©, per il ruolo chiave di un elemento,
Facebook.
Il portale di social network è stato infatti determinante nello scagionare un giovane newyorkese, tal
Rodney Bradford,
accusato di aver svaligiato un appartamento. Lo
status del ragazzo era stato aggiornato proprio nel lasso di tempo in cui è stato compiuto il furto, quindi il giudice ha accolto tale prova come
alibi, in grado di
scagionare Bradford.
Un precedente di rilievo, che induce ad una
riflessione sia gli "addetti ai lavori", quindi
magistrati e
forze dell'ordine, sia i
privati cittadini.
Non è il primo caso in cui Facebook incide sulla
sentenza di un
processo: recentemente un ladro, durante un furto, aveva effettuato il login sul social network da un Pc nell'abitazione della famiglia derubata. Grazie a ciò, era stato possibile identificarlo.
Questa volta è avvenuto il contrario: il portale è diventato l'
alibi perfetto. Verosimilmente, il giudice ha tenuto conto del fatto che nessuno avrebbe potuto immaginare una correlazione fra l'
accesso al web e le
prove sul reato compiuto e si è fidato di quanto pubblicato su Facebook.
Per il futuro, occorrerà ai magistrati tener presente della possibile strumentalizzazione di questa vicenda: il
social network, infatti, potrebbe diventare un
alibi creato ad hoc, magari dando le credenziali a qualche complice, chiedendogli di aggiornare il profilo mentre si sta compiendo un crimine. Quindi c'è bisogno della massima attenzione da parte dei giudici: internet resta pur sempre un mondo virtuale.
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