Nel 2009 la pirateria software in Italia è cresciuta rispetto all'anno precedente. Non molto, però, solo dell'
1% (dal 48% del 2008 al 49%), per un controvalore commerciale di oltre 1,209 milardi di Euro.
I dati provengono da uno
studio realizzato de
Idc per conto di
Business Software Alliance (
BSA),
associazione che rappresenta le più grandi
software house del mondo. Su scala globale
la pirateria nel 2009 è regredita in quasi la metà dei mercati monitorati,
54 su 111. Solo in
19 casi il fenomeno ha registrato una crescita.
Il
tasso mondiale di pirateria, però, è
cresciuto dal 41% al 43%. Questo dato è causato soprattutto dai
Paesi in via di sviluppo, afflitti da un
altissimo indice di illegalità che si ripercuote poi sull'intero mercato. Stiamo parlando di nazioni con
Cina, Brasile e India. In termini pratici, per ogni 100 Euro spese per software legale ce ne sono 75 che vanno nelle tasche dei pirati.
Il valore globale di questo mercato "nero" di applicativi nel 2009 è stato di
51,4 miliardi di dollari, -3% rispetto al 2008. L'ipotetica decrescita però, se si tengono in conto i tassi di cambio, viene azzerata:
il trend è sostanzialmente stabile.
In
Usa, Giappone e Lussemburgo la pirateria è la più bassa in assoluto, circa al
20%. Seguono
Austria, Belgio, Finlandia e Svizzera, con il
25%. I Paesi più nell'illegalità sono
Grecia (58%), Islanda (49%), Cipro (48%) e Malta (45%). L'Italia, con il suo 49%, è tra gli ultimi nomi in classifica. Nonostante gli sforzi e le campagne per scoraggiare il fenomeno.
"Un tasso di pirateria del 49% è inaccettabile per una nazione evoluta come l'Italia", ha spiegato il presidente di Bsa Italia,
Luca Marinelli.
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