La
Corte di Cassazione ha deciso che l'esibizione di
prestazioni sessuali in videochat, quando pagate da clienti, costituisce atti riconducibili alla
prostituzione e quindi
perseguibili a norma di legge.
L'organo giudiziario italiano è giunto a questo verdetto dopo il riesame, e la successiva condanna, inflitta ad un gestore di un
night club fiorentino che era solito ricorrere a questa pratica nel suo locale.
L'uomo, condannato in
Primo Grado, era ricorso alla
Suprema Corte, sostenendo che questo tipo di "prestazioni" non possono essere ricondotte al reato di prostituzione.
Ma la
Terza Sezione Penale della Cassazione ha dato torto all'uomo, confermando per lui la condanna di sfruttamento della prostituzione.
La spiegazione data dal giudice è stata: "le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione assumono il valore di atto di prostituzione e configurano il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno».
I giudici hanno ritenuto
non sufficiente la difesa dell'uomo, che insisteva sulla "assenza fisica" del cliente.
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