La televisione su
Internet Protocol, che sta evolvendo
da IPTV a Smart TV,
stenta a diffondersi in Italia: nonostante i clienti abbiano ormai raggiunto quota
700 mila, si continua a registrare una forte
difficoltà degli operatori ad
accedere a contenuti televisivi pregiati sui quali comunque investono
30 milioni l'anno, in aggiunta ai più consistenti investimenti per garantire la diffusione dei servizi a banda larga. Le cause sono da ricercarsi in un quadro normativo che, disegnato per i media tradizionali, spesso rappresenta un
ostacolo allo sviluppo del mercato, e in un'eccessiva rigidità dell'offerta di diritti, che non consente lo sviluppo di un'offerta legale di contenuti distribuiti su IP.
àˆ questo lo scenario delineato dal
primo rapporto dell'Associazione Italiana degli Operatori IPTV, presieduta da
Irene Pivetti, presentato oggi alla
Camera dei Deputati. Dal documento emerge la necessità di porre una
maggiore attenzione ad un corretto inquadramento sul piano normativo delle tendenze in atto: le regole attuali non tengono conto delle
specificità di Internet e senza adeguati correttivi c'è il rischio che si creino
barriere non giustificate allo sviluppo del mercato e si continuino ad applicare ai nuovi servizi, prevalentemente non lineari (on demand), norme pensate per i tradizionali servizi lineari.
Tra le soluzioni per garantire un'effettiva disponibilità dei diritti, l'Associazione segnala l'importanza di definire
licenze collettive estese per la ritrasmissione dei canali lineari e la necessità di evitare che lo sviluppo sia frenato dall'assenza di offerta di diritti, che produce effetti negativi sulla concorrenza e sullo sviluppo dei servizi audiovisivi su IP.
Il rapporto evidenzia inoltre come in alcuni Paesi siano state utilizzate
forme di agevolazione per favorire il take up dei nuovi servizi, analoghe agli aiuti concessi anche in Italia per lo sviluppo della Pay TV satellitare, ovvero per la transizione alla Televisione Digitale Terrestre.
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