Sta crescendo il numero degli inserzionisti che hanno deciso di non mettere più i loro spot su
Facebook dopo la campagna di boicottaggio condotta da
Everyday Sexism Project.
Nello specifico, il gruppo ha accusato il social network di
non filtrare in maniera sufficiente i messaggi pubblicati e, di conseguenza, di permettere la nascita di pagine che istigano alla violenza, all’odio, all’omofobia, al sessismo, ecc.
Prestigiosi marchi come
Nissan, Unilever e Nationwide hanno già ritirato i loro spot dal social network blu e sono tante le altre aziende che si sono dichiarate pronte a fare altrettanto.
Dal canto loro,
Mark Zuckerberg e soci stanno cercando di correre ai ripari, anche se identificare ed eliminare i possibili contenuti offensivi presenti in un numero così elevato di pagine è un’impresa estremamente difficile e costosa.
Da Menlo Park, inoltre, hanno già fatto sapere che molti messaggi misogini sono stati cancellati e che il gruppo è al lavoro per stilare delle vere e proprie linee guida da utilizzare nella valutazione dei messaggi.
Marne Levine, vp della Public Policy di Facebook ha così dichiarato, sul blog ufficiale dell’azienda: “In questi ultimi giorni, è diventato chiaro che i nostri sistemi per identificare e rimuovere discorsi violenti non sono stati sufficientemente efficaci. In alcuni casi il contenuto non è stato rimosso così rapidamente come avremmo voluto, mentre in altri non è stato eliminato perché esaminato con criteri non aggiornati. Per questo la società prevede di rivedere e aggiornare le linee guida in materia con l’aiuto di esperti legali e rappresentanti di associazioni di donne e minoranze. Tuttavia è difficile definire quando una frase o un commento sui social network è davvero un’incitazione all’odio. D’altronde non esiste una definizione universalmente accettata di odio. Nonostante questo, cercheremo di cancellare tutti quegli attacchi diretti e seri razzisti, sessisti, omofobi, o contro qualche religione, disabilità o malattia”.
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