Si continua a parlare di tutela dei
diritti degli utenti sul web, di
riservatezza e di leggi per salvaguardare la
privacy dei cittadini: in queste ore, a
Milano, si sarebbe dovuto giocare a riguardo una partita importante. Si sarebbe infatti dovuto svolgere un
processo contro
Google per un'accusa formulata nel
2006, a causa della pubblicazione di un
video in cui alcuni ragazzi picchiavano un ragazzo Down. Oltre alla gravità dei fatti, al bullismo e la violenza gratuita, aggravata dall'handicap del ragazzo, è in ballo una questione più seria: la
responsabilità dei contenuti diffusi dalla rete.Nell'era del
web 2.0 questa problematica sta iniziando a far sentire il suo peso e la sua rilevanza, considerando quanto gli utenti utilizzino la possibilità di usare la rete non solo in modo passivo, fruendo dei diversi materiali disponibili, ma agendo attivamente creando propri contenuti e condividendoli. Come detto, il processo ha subito un
rinvio a settembre, a causa della
mancanza di un'interprete, che avrebbe dovuto tradurre la deposizione di un ingegnere informatico americano.
Al processo sono chiamati a comparire:
David Drummond (ex presidente del consiglio di amministrazione di Google Italy),
George Reyes (un ex-membro del consiglio di amministrazione e poi Ceo di Google Italy),
Peter Fleischer (responsabile europeo delle politiche sulla privacy di Google) e
Arvind Desikan (ex-responsabile di Google Video per l'Europa).
Dalla parte opposta la
famiglia del ragazzo, il
Comune di Milano e l'associazione
ViviDown; insieme ad essi il
pm Francesco Cajani, che imputa a Google la responsabilità di aver diffuso il video, quando al contrario sarebbe stato necessario prevenire la pubblicazione del medesimo, grazie ad un controllo maggiore.
Google in questi anni ha continuato a difendersi, sottolineando come, nel momento in cui è venuta a conoscenza del video, esso è stato subito
rimosso. Una partita importante, quindi: a testimoniare l'importanza del processo, la
presenza della stampa estera, con inviati ad esempio di
New York Times,
Wall Street Journal e
France Press, che però sono stati invitati ad uscire dall'aula, su richiesta degli imputati.
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato con le notizie di
BitCity.it iscriviti alla nostra
Newsletter gratuita.